Nelle ultime settimane da più parti si avvertono timori per un default USA, sinceramente a nostro parere il pericolo non è tanto il fatto concreto che ci possa essere un default effettivo degli Stati Uniti, quanto che ci sia un panico che possa diffondersi in modo più o meno manovrato o più o meno isterico che contribuisca a deprimere l’umore del mercato.
Le conseguenze sul mercato azionario sarebbero, in questa ipotesi, piuttosto marcate; le variabili in gioco, per prevedere la magnitudine del movimenti, sono ancora incerte, dipendono dai massimi relativi che il mercato andrà a fare in maggio (e quindi il punto iniziale di caduta) e, ancor di più, la durata della fase di incertezza, che potrebbe prolungarsi probabilmente per tutto il mese di giugno e almeno una parte del mese di luglio.
Anche se non riteniamo che i minimi del 2022 vengano violati, non possiamo escludere che se la fase ribassista dovesse perdurare a lungo nell’estate del 2023, essi vegano ritestati o appena perforati. In quell’occasione, di nuovo si griderebbe alla catastrofe con le più fantasiose previsioni per l’S&P500 fino a quota 2000, come abbiamo visto fare spesso negli ultimi 12 mesi. Se i massimi dell’S&P500, in maggio, fossero nell’area 4300, una gamba ribassista fino a 3500 significherebbe un’onda da 800 punti, che certamente abbiamo visto più volte in passato.
Molte, peraltro, sono le zone di supporto da rompere, e, in particolare potremmo verificare la tenuta dell’area 3788: in questo ultimo caso, l’ipotesi sarebbe di una caduta di circa 500 punti, o anche meno.
Queste sono le ipotesi più probabili, con i dati conosciuti al momento. Quando vedremo i prossimi massimi relativi dell’S&P500, avremo valutazioni più precise da fare.
Non riteniamo che vedremo “la vera catastrofe” nel 2023, intendendo un ribasso superiore al 35% rispetto al massimo del 5 gennaio 2022. E i minimi del 2022 rimangono un punto di riferimento ancora molto importante.
Alcuni nostri indicatori vedono una fase di rischio enorme per i mercati concretizzarsi in epoca successiva al novembre del 2024, con ribassi che potrebbero superare il 50% (così’ i sostenitori di area 2000 sarebbero accontentati, probabilmente quando avranno finito di prevedere 2000 come minimo). Ma di questo parleremo più avanti a tempo debito. Nel frattempo, in un clima inusuale, a mercati americani con orario ridottissimo per i soli future e l’azionario chiuso, è stato pubblicato un lusinghiero non-farm payroll che conferma, ancora una volta, una economia USA molto forte 236.000 nuovi posti di lavoro creati a marzo, leggermente più delle attese, tasso di disoccupazione di nuovo ai minimi storici al 3.5%.
La previsione del dato sulla inflazione, che verrà pubblicato la prossima settimana, è ora di uno 0.4% mese su mese. Questa condizione favorisce un ulteriore aumento dei tassi dello 0.25%, nella riunione della FED di inizio maggio.
Nell’altro versante, crescono le preoccupazioni per il comparto bancario, con dichiarazioni piuttosto ansiogene perfino di Orcel, CEO di Unicredit.
Analizzando i dati sulla creazione dei posti di lavoro, osserviamo che tre sono stati i settori trainanti: impiego pubblico, tempo libero/ospitalità e istruzione/sanità privata. Allo stesso tempo, sono in negativo l’edilizia, la produzione, la finanza, il commercio al dettaglio.
Se i dati sull’occupazione sembrano confermare l’ottimismo, le prospettive diventano invece sempre più complicate e difficili.
Le tensioni bancarie potrebbero interrompere il flusso di credito all’economia. La fiducia delle imprese è a livelli recessivi e il mercato immobiliare è in evidenti difficoltà.
Tutto ciò è un mix tossico per la creazione di nuova occupazione: nella seconda metà del 2023, potremmo vedere dei non-farm payroll molto meno positivi di quelli degli ultimi 18 mesi. A ulteriore conferma di questo trend, si incrementa il numero dei licenziamenti e delle richieste di sussidi di disoccupazione.
La combinazione di costi di indebitamento più elevati, flusso di credito interrotto, scarsa fiducia delle imprese e mercato immobiliare in stallo aumenta le possibilità di un atterraggio brusco per l’economia, il che significa che le pressioni inflazionistiche si modereranno più rapidamente.
Cominciamo a pensare che se le tendenze negative di cui sopra dovessero svilupparsi nel corso del secondo semestre del 2023, quello di maggio potrebbe essere l’ultimo aumento dei tassi dell’anno. E potremmo addirittura pensare ad una riduzione dei tassi e a un conseguente cambiamento di rotta della FED nell’ultima riunione dell’anno 2023, in dicembre.
La situazione è molto delicata e uno scivolone è un grande rischio da correre nelle prossime settimane, a partire dalla metà di maggio, un prezzo da pagare per ritrovare un equilibrio meno precario verso l’ultimo trimestre dell’anno.